giovedì 10 dicembre 2009

Gentile professore Masina,
ho letto i suoi articoli sul sito della cooperativa e volevo chiederle di aiutarmi a capire quello che è successo con mio figlio. Mario ha sedici anni ed è sempre stato un ragazzo assennato e responsabile, bravo a scuola anche se un po’ troppo riservato e silenzioso. Qualche giorno fa, durante la cena ci ha chiesto per l’ennesima volta di comprargli la macchinetta, che già hanno diversi suoi compagni, spiegando che non ce la fa più ad usare gli autobus. Mio marito era propenso a concedergliela mentre io mi sono opposta con fermezza. Ritengo che la macchinetta sia un lusso che vizia i ragazzi nel loro rapporto con la realtà. Inoltre noi dovremmo fare dei sacrifici per comprarla e non si vede perché dobbiamo adottare uno stile di vita che non ci appartiene. Il problema è che appena io e mio marito abbiamo cominciato a discutere Mario, per la prima volta in vita sua, ha dato fuori di matto. Ha cominciato a piangere e a urlare dicendo che è stufo di vedere che noi siamo in disaccordo su tutto, che non si sente visto né capito, che vorrebbe andare a vivere da un’altra parte. La scenata è andata avanti tutta la serata: più cercavamo di calmarlo e di invitarlo ad una discussione pacata più lui si alterava. Ci ha accusato di essere egoisti e spilorci, ipocriti che stanno insieme solo perché hanno paura di separarsi, di rovinargli la vita.
Mio marito era sconvolto e anche io ero incredula perché pensavo che le tensioni della nostra coppia, che avevamo accuratamente nascosto ai figli, non fossero mai trapelate. Mi ero illusa fino ad ora di riuscire a farli vivere serenamente; anzi, sono rimasta insieme a mio marito solo per loro, convinta che una separazione li avrebbe danneggiati. Mi sembra di aver sbagliato tutto e che essermi sacrificata non sia servito a niente. Lei cosa ne pensa? Le sono capitati altri casi come il nostro?
Grazie dell’aiuto che potrà darmi, Giorgia


Cara signora Giorgia,
di primo acchito mi verrebbe da dirle che non tutto il male viene per nuocere. Un figlio capace di esprimere il suo disagio, e di convocare i genitori a riflettere sulla situazione della famiglia, anche se con toni sofferti e accenti inappropriati, dimostra di non avere ancora perso la speranza di essere capito e aiutato. Percepisce, probabilmente, che voi genitori, che pure critica aspramente, potreste avere le risorse per farsi interrogare da lui e dalla sua sofferenza e per reagire. La stessa speranza trapela dalla sua lettera che mostra il desiderio di non censurare quanto è avvenuto, magari per soffocare il rimorso o la vergogna, ma di provare a capirci qualcosa.
Il ciclo vitale che la sua famiglia sta attraversando, quello in cui un figlio è diventato adolescente, è infatti propizio per trattare problemi che non si aveva la capacità o la forza di affrontare in precedenza. Gli adolescenti non sono, come spesso ci sembrano essere, dei “nemici” che hanno perso la bontà e la tenerezza di quando erano bambini o, addirittura, delle serpi che abbiamo covato involontariamente in seno; ma piuttosto, nella loro nuova condizione di “estranei”, interlocutori che ci possono indicare dove e come abbiamo sbagliato, dove ci siamo persi e dove potremmo, anche se con fatica, ritrovarci. Con tutta la spregiudicatezza dei suoi sedici anni Mario attacca uno dei presupposti che sono stati alla base delle relazioni della famiglia: quello che impone di rimanere insieme per il benessere dei figli. Mario infatti segnala che il rimedio è peggiore del male: piuttosto che proteggermi - sembra dire suo figlio - mi fate soffrire, perché evitando di trattare e risolvere i vostri problemi di coppia mi
trasmettete uno stile di funzionamento “ipocrita”, cioè basato su uno scollamento fra l’apparenza, una famiglia felice, e la sostanza, una famiglia minata dall’infelicità della coppia coniugale. Viene anche da chiedersi se l’accusa di non vederlo e capirlo non sia basata sulla sensazione di Mario che in qualche misura nella vostra famiglia il rapporto genitori figli si sia rovesciato: non siete più voi a garantire il suo benessere psicologico ma piuttosto è lui che, nel suo ruolo di figlio, funge da collante della coppia e vi aiuta a non confrontarvi con i vostri problemi relazionali. Mi pare che quando Mario vi accusa di essere spilorci non si riferisca tanto alla macchinetta negata, che sembra avere un significato consolatorio, ma piuttosto alla vostra difficoltà di impegnarvi fra di voi e con lui, passando da una situazione di ritiro emotivo ad una posizione di scambio e condivisione di pensieri ed emozioni. Forse ciò che lei dice di Mario, che è assennato e responsabile, anche se silenzioso e riservato, vale anche per voi. La famiglia, cioè, potrebbe essersi involontariamente centrata su una posizione doveristica – si sta insieme perché si deve, non perché si vuole – che viene percepita da suo figlio come asfittica e claustrofobica tanto da pensare di andarsene.
Insomma, cara signora, suo figlio è cresciuto e vi sta segnalando, con coraggio e fatica, che quello che è stato coperto e non detto è stato ugualmente percepito, attraverso i canali misteriosi che si attivano nelle famiglie.
Organismi viventi fatti di menti ma anche di corpi e di anime. Fare il punto, con lui e fra di voi, dei punti deboli e delle risorse, magari con l’aiuto di uno psicologo, potrebbe aprire prospettive che ora non sono nemmeno pensabili.
Cari saluti e auguri di buon lavoro,
Emilio Masina