Ci sono immagini che segnano un’epoca perché
riescono a dare corpo a un comune sentire rimasto inespresso. Proviamo la
sensazione angosciosa che nel nostro Paese vi sia una crisi della funzione
simbolica della legge e dell’autorità ed ecco che, dopo il faccione di Fiorito,
incappiamo nel video sul prelievo forzato di un bambino a scuola per opera
della Polizia di Stato.
Riassumo brevemente i fatti. Il giudice minorile
dispone di togliere Lorenzo, dieci anni, figlio di genitori separati, alla
potestà della madre e di portarlo in una comunità protetta per “riassestare e resettare
i suoi rapporti affettivi in un ambiente consono al suo stile di vita”. Secondo
lo psichiatra, consulente del Tribunale, la signora è responsabile di escludere
l’ex marito dalla vita del bambino e di fare a quest’ultimo una sorta di
lavaggio del cervello che lo spinge a vedere il padre come un alieno, cioè a
soffrire di quella che viene chiamata in gergo tecnico Pas (Parental alienation
Syndrome). Dopo due tentativi di prendere Lorenzo a casa, falliti perché lui,
terrorizzato, si rifugia sotto il letto, polizia, assistenti sociali, psichiatra
e padre del bambino vanno a scuola e, poiché Lorenzo si rifiuta di andare con
loro, lo caricano di peso su una macchina. Vi è una colluttazione con il nonno
e la zia materni che, armati di telecamera, da diverso tempo presidiano la
scuola per opporsi a questo tipo di azioni. La signora urla: “Bastardi, i
bambini non si portano via, vanno ascoltati! Ma chi siete voi? Quelli della
Gestapo?”. Nel filmato si sente anche la voce di Lorenzo che chiede aiuto,
mentre il padre lo tiene per i piedi, lo psichiatra per il braccio e un
poliziotto per le spalle: “Aiutami, zia, non ce la faccio. Nonno, aiuto, non
respiro!”.Una poliziotta, di fronte alle rimostranze della signora, afferma:
“Non sono tenuta a parlarle. Io sono un ispettore di polizia, voi non siete
niente!”. Nel clamore suscitato dalla vicenda ecco un campionario di
dichiarazioni comparse sui giornali:“Sul bambino non ci sono lividi né
ecchimosi” (psichiatra);. “Un provvedimento inevitabile, in cui l’esecuzione è
sfuggita di mano” (magistrato); “L’operato dei miei uomini è stato cristallino:
il ragazzino ha avuto una reazione violenta e il padre lo ha afferrato per i piedi,
gli agenti sono intervenuti a sollevarlo da terra” (questore); “La forza è
necessaria per liberare un bambino che è stato rapito” (padre). Gli stessi
giornali hanno riportato che Lorenzo nella comunità per molti giorni ha tenuto
addosso la stessa tuta che aveva a scuola, come se volesse fermare il tempo; e diversi
commentatori hanno rilevato che bisognava interpellarlo, non forzarlo ad
ubbidire: come se bastasse chiedere ad un bambino con chi vuole stare per risolvere
una vicenda in cui i genitori lo strumentalizzano per avanzare le loro
richieste.
Prima di riuscire a inquadrare razionalmente la
triste vicenda, quel viluppo di corpi, quelle grida scomposte, ci comunicano
l’impressione di un mondo impazzito, preda di emozioni violente. Un mondo
incapace di pensare tensioni e conflitti ma solo di agirli in preda alla paranoia:
un lucido delirio che porta a pensare che ogni male sia da attribuire sempre e
solo agli altri. La paranoia, afferma lo psicoanalista Luigi Zoja, è’unico
disturbo mentale dotato di autotropia, cioè di forza autonoma di
moltiplicazione e di contagio. Accade così che il giudice, piuttosto che
disporre l’approfondimento e la presa in carico delle cause del disagio
familiare, preferisca rendere “orfano” il bambino di entrambi i genitori, collocandolo
in una casa famiglia e sottraendogli tutte le sicurezze acquisite: la mamma, i
nonni, la scuola, i compagni, lo sport. La parola “resettare”, evidentemente un
lapsus freudiano, ci informa che il magistrato nel suo intimo non crede che le
tensioni familiari possano essere affrontate, capite e risolte ma solo rimosse,
come si fa con le informazioni di un computer, nell’illusione che si possa
ricominciare daccapo. La stessa sfiducia sembra ispirare lo psichiatra che,
invece di lavorare con il bambino e i genitori per esplorare e tentare di
orientare il grave conflitto familiare, stigmatizza il comportamento della
madre, ricorrendo alla diagnosi di Pas, un disturbo inesistente, al punto che
l’Apa (American Psychiatric Association), ovvero l’associazione americana i cui
membri sono specializzati in diagnosi, trattamento, prevenzione e ricerca di
malattie mentali, lo ha escluso recentemente dal manuale diagnostico e
statistico dei disturbi stessi (DSM 5). L’esimio consulente non si limita a
utilizzare la scorciatoia della “malattia”; incapace com’è di fare ricorso a
una competenza, ma si reca a scuola collaborando attivamente a traumatizzare il
bambino e a ridurlo in uno stato, fisico e psicologico, di impotenza! E cosa
dire dei rappresentanti della Polizia di Stato, a loro volta incapaci di cogliere
l’inopportunità dell’uso della forza nel contesto delicato e fragile di una
scuola elementare che, per di più, abusano del loro potere per ridurre al
silenzio chi vi si oppone? Alla fine, ma potremmo dire all’inizio del circuito
paranoico vediamo in azione un padre violento (accusato in precedenza dal
figlio e dalla moglie di maltrattamenti) ma anche una famiglia militarizzata,
quella materna, che fa la ronda attorno alla scuola di Lorenzo, ridotta ormai ad
un campo di battaglia.
La paranoia, infatti, non tollera il dubbio e i faticosi passaggi che la mente deve affrontare per esplorare e capire le cose difficili.
Come molte guerre hanno dimostrato, precedere l’attacco del “nemico”
significa evitare la morte somministrandola all’avversario. Penso che tutti noi
ci siamo identificati con Lorenzo, con la sua fragilità di vaso di coccio fra i
vasi di ferro. Abbiamo invocato il ritorno della ragione, una formazione
psicologica per giudici, forze di polizia e anche per i consulenti
incompetenti, incapaci di lavorare nelle e con le relazioni dei loro clienti;
consulenti che oggettivano gli umani disagi come se fossero microbi da
sconfiggere con gli antibiotici. Abbiamo pensato alle carenze della scuola e
dell’università che, sempre più abbandonate a loro stesse, senza fondi e
risorse, devono affrontare il predominio della logica mercantile ed
economicistica, ispirata da un sempre meno velato darwinismo sociale. Ci sono
venute in mente le tante famiglie in difficoltà, che rimangono isolate in un
tessuto sociale sempre più disgregato. E i Tribunali, cui sempre più genitori
ricorrono, nell’illusione che delegare il potere decisionale ad un terzo
risparmi loro la fatica e il dolore di capire, e di ovviare, ai propri errori.
Emilio Masina
Emilio Masina