domenica 6 marzo 2011

Diventare adulti

Gentile prof. Masina, 

ho un figlio di vent’anni che attraversa una crisi per me difficile da capire: io e mio marito l’abbiamo cresciuto senza mai fargli mancare nulla, gli abbiamo voluto bene, siamo sempre stati presenti al momento della difficoltà. 

Eppure, nonostante ciò, il nostro ragazzo oggi più che vivere ci sembra sopravvivere: è iscritto all’università ma frequenta poco le lezioni, non studia, esce fino a tardi la sera, ciondolando con gli amici da un locale all’altro e la mattina dorme a lungo. Non ha una ragazza fissa ma solo rapporti brevi, anzi brevissimi. Non ci sono problemi eclatanti come la droga o l’abuso di alcool. 

Il problema è questa mancanza di motivazione. 
 Ho provato a parlargli tante volte ma lui non risponde oppure lo fa con frasi brevi e spezzettate come se non trovasse dentro di sé nemmeno l’energia per parlare. 

Qualche giorno fa di fronte alla mia sollecitazione di darsi una mossa e crescere una buona volta mi ha risposto: “Cosa cresco a fare?”. E’ stato per me come se mi avesse dato uno schiaffo. Perché si sta spegnendo così? Che cosa si può fare? Potrebbe aiutarlo una psicoterapia e come motivarlo ad intraprenderla?

Carmen, Vigevano.

Risposta:

“E’ sicuro che il problema che sembra accomunare, sia pure in forme diverse, tante persone comprese in una fascia di età di almeno dodici anni, dai 18 ai 30 anni, ma anche oltre, dipenda dalla difficoltà di abbandonare una fase dello sviluppo psichico? E’ sicuro che questa difficoltà sia di ordine patologico e quindi di competenza psichiatrica e psicoanalitica? E’ sicuro che essa dipenda dalla serietà dell’impegno da affrontare per salire al livello di una tappa successiva dello sviluppo? Sicuro che essa non nasconda il bisogno legittimo di una maturazione critica più approfondita della vigente concezione di stato adulto?
 Non si può pensare che lo stato adulto sia una condizione altrettanto complessa e difficile da realizzare pienamente in se stessi rispetto all’adolescenza, e che tante persone non più giovani possano aver trovato, rispetto ai tardo adolescenti, molte più ‘ragioni’ per affermarsi adulti?

Gentile signora, ho voluto cominciare questa mia risposta con le parole scritte da Arnaldo Novelletto, al cui insegnamento la nostra cooperativa si ispira. Novelletto era uno psichiatra e psicoanalista esperto. Intendo dire che la psicoterapia era il suo lavoro. Eppure ci segnala che la psicoterapia, utile e in molti casi di giovani in crisi assolutamente necessaria, non basta a spiegare e a trattare la difficoltà che tanti giovani e meno giovani hanno oggi a diventare uomini e donne adulti.
Questi giovani, si chiede Novelletto, hanno difficoltà ad abbandonare l’adolescenza o, piuttosto, ad investire le loro energie in una prospettiva adulta, cioè a trovare ragioni valide per affrontare la fatica di soggettivarsi e sviluppare un proprio, personale progetto di vita?
Suo figlio sembra confermare questa ipotesi quando le chiede: “Che cosa cresco a fare? Che ragioni ho, che ragioni tu sai offrirmi, per fare lo sforzo di affermarmi adulto?”.

Psicoanalista e tardo adolescente, come in un dialogo immaginario, pongono domande che convocano noi tutti. Perché, certamente, non è facile fare il lutto con il bambino e poi con l’adolescente che si è stati, rinunciare all’onnipotenza che, a volte, è stata rinforzata, piuttosto che ridimensionata, da genitori spaventati e bisognosi di affetto. Ma crescere è ancora più difficile quando i ragazzi sembrano non rappresentarsi alternative valide.
In questo caso mollare la posizione onnipotente non vuol dire spostarsi su una posizione di realistica potenza, scegliere di non essere più tutti e nessuno bensì un uomo o una donna adulti con i propri limiti ma anche con risorse per svilupparli, capace di discernere cosa è vero e cosa è falso, cosa promuove la fiducia in se stessi e nella relazione con gli altri e cosa, invece, la danneggia.
Vuol dire, al contrario, sentirsi cadere dalle stelle alle stalle, in una terribile condizione di impotenza rispetto ad un mondo presupposto difficile e ostile.

“Perché devo studiare, perché devo sbattermi per conquistare un posto in un mondo lavorativo dove vanno avanti solo i raccomandati e le puttane? - mi chiedeva recentemente una mia giovane paziente in crisi - Perché devo fare la fatica di uscire di casa la mattina, affrontare il traffico, e tornare a casa la sera per poi essere ugualmente infelice? Non sarebbe meglio andarmene dove ci sono popoli che hanno molto meno di noi ma sono più contenti della vita?”.

Che cosa significa crescere nel mondo di oggi, e nel nostro Paese? Che forma stiamo dando alle nostre vite e a quelle dei nostri figli o dei giovani che ci sono affidati? Quale testimonianza trasmettiamo, magari inconsapevolmente, ai giovani che ci guardano. L’inerzia con cui ci sembrano sopravvivere non assomiglia alla nostra, non sono parenti il nostro e il loro pessimismo?

Mi pare che dobbiamo cercare di uscire da un’ottica individualista, quell’ottica secondo la quale un figlio o un genitore possano sopravvivere come individui isolati e autoreferenti al senso di sconforto e di futilità che ci assale collettivamente, magari con l’aiuto di uno psicoterapeuta che lo aiuti ad adattarsi meglio, ad assumere forme di vita più conformistiche, meno inquietanti per la società.

Forse dopo aver molto lavorato per differenziare le caratteristiche dell’infanzia da quelle dell’adolescenza e dalla fase adulta c’è la necessità anche per noi psicoterapeuti di pensare di più ai rapporti fra le generazioni, agli stereotipi con cui noi guardiamo gli adolescenti e proponiamo loro il ruolo adulto e con cui loro si propongono a noi. C’è bisogno di fare la fatica di storicizzare, di contestualizzare le varie forme di disagio giovanile invece che parlarne come patologie, fattori invarianti, che sopravvivono intonsi al tempo e alla storia.
Dobbiamo capire quando ci accordiamo inconsapevolmente con loro per risparmiarci reciprocamente la fatica di assumerci le proprie responsabilità.
Mi pare sia necessario aiutare i giovani a pensare le relazioni, a cogliere che la vita è un processo, un divenire, che presenta difficoltà ma anche potenzialità e gratificazioni, perché possano individuare ragioni per progredire piuttosto che mantenere uno stallo, una posizione sempre precaria e provvisoria o, addirittura, tornare regressivamente indietro alla ricerca delle ragioni di una volta.
Dobbiamo imparare ad occuparci delle nostre relazioni e a mantenerle vive, scoprire come si fa a parlare con i nuovi adolescenti e giovani adulti e non guardarli preoccupati dall’esterno, per scrutare i segni di un possibile disagio ed essere pronti a medicalizzarlo, magari con l’aiuto di un test di personalità, come sembra oggi andare di moda fra gli addetti ai lavori che si preoccupano della scientificità. Dobbiamo diagnosticare meno e incontrare di più, ritrovare le differenze ma anche le somiglianze.

Quando parliamo con i giovani è importante ricordarci della nostra adolescenza ma anche non perdere di vista il nostro essere adulti, per dare un senso alla nostra specifica posizione nel mondo che possa aiutare il giovane a cercare il suo. Insomma dobbiamo metterci la faccia!

Gentile signora, io non posso sapere, naturalmente, se suo figlio potrebbe avere bisogno di una psicoterapia capace di aiutarlo a mettere meglio a fuoco le difficoltà che si frappongono a maturare approfonditamente la concezione di stato adulto, come scriveva Novelletto, necessaria ad investire maggiormente in quella direzione. Quanto più chiaramente lei e suo marito riuscirete a cogliere il disagio del vostro ragazzo e ad aiutarlo a dargli un senso rispetto alle relazioni che sta vivendo tanto più probabilmente vostro figlio prenderà la strada del cambiamento, magari cominciando a consultare uno psicoterapeuta o magari con una delle tante altre modalità.

Voglio però ringraziarla per darmi l’opportunità di sottolineare la necessità che anche altri adulti, genitori, insegnanti, educatori, si spendano maggiormente per testimoniare ai giovani che un mondo diverso da quello attuale è possibile.

Cari saluti, Emilio Masina