domenica 3 febbraio 2013

Missing


Non so a voi ma a me capita sempre più frequentemente di imbattermi in persone scomparse. E non fanno tutti parte della categoria dei debitori che non vogliono pagare! Operai con cui si è concordato un lavoro, studenti che hanno insistito per avere la tesi, persino amici. Gli scomparsi non si limitano a non fornire più loro notizie: non rispondono nemmeno ai messaggi, né alle mail e il loro telefono squilla libero, oppure è disabilitato.


 Passano i mesi, a volte gli anni e improvvisamente si fanno sentire: “Mi scuso tanto ma sono stato male!” ; “Mi dispiace, ho avuto un problema in famiglia!”. Poi, magari, si inabissano di nuovo. Nei casi più gravi hai notizie della persona scomparsa: è viva, prosegue le sue attività; semplicemente non ha più voluto sentirti, ha interrotto la relazione con te.
Più che il disappunto io provo un sentimento di sorpresa, specialmente quando quella persona la conosco bene e si è sempre rivelata affidabile. Mi chiedo cosa sta succedendo: è questo un segno della post-modernità, di una società sempre più liquida? (Oggi ci sei, domani no!). Oppure di un disagio sociale che avanza, che porta a rinchiudersi per proteggersi da una compessità sentita troppo minacciosa?
Tempo fa un mio giovane paziente mi ha offerto qualche spunto di riflessione: “Un’ amica è partita per un soggiorno di un anno all’estero e io non riesco a sentirla. Lei mi ha mandato alcuni messaggi: i primi per darmi notizie e sapere le mie; l’ultimo, piuttosto seccato, a causa del mio silenzio. So che sarebbe gentile chiamarla o almeno spedirle una mail ma non mi va, lo sento come una forzatura, un dovere e non un piacere. Quando tornerà a Roma ci beccheremo e sarà come se non fosse mai partita!”. Ma allora - mi sono detto - “gli scomparsi” non vogliono fare la fatica di tenere la relazione. Vivono dentro una bolla narcisistica e bastano a se stessi. Quando si accorgono della loro dipendenza da qualcosa, o da qualcuno, quando entrano in contatto con i loro bisogni, la bolla si rompe e cercano di ricostituirla, eliminando il bisogno e la persona che lo ha suscitato. Gli adolescenti, si sa, temono la dipendenza perché stanno appena tentando di uscire da quella infantile che ha contrassegnato la loro vita. Ma gli adulti? Qualche giorno fa ho incontrato un amico del liceo che non aveva risposto ad alcune mie mail. Gli ho chiesto il perché. “Scusa, sono molto occupato. La verità è che preferisco guardare più al futuro che al passato”. Confesso che non ho saputo cosa rispondere. Forse chi scompare vuole farsi cercare? Forse, come nel film “Bianca” di Nanni Moretti, pensa che lo si vede di più se non partecipa alla festa? Forse cerca di liberarsi, proiettandoli nell’altro, dei suoi sentimenti di impotenza e di irrilevanza, in modo da vivere e tenere per sè un senso di controllo e di padronanza della relazione? Mah! Io ho detto la mia, perché non dite la vostra? Tutti “scomparsi”?
Emilio Masina

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